New Image Domenichino Zamberletti

 

A volte mi chiedo: perché a Varese non abbiamo un santo? E se un candidato, di quelli autentici, ci fosse? Perché si lascia passare tanto tempo prima di procedere all’apertura o nella riapertura di un “eventuale” processo di beatificazione?
La beatificazione di una persona si sa è un processo particolarmente complesso ed articolato dove intervengono diverse variabili quale: il tempo che passa, la mancanza di testimoni e non escluderei qualche vincolo di natura pecuniaria. Detto questo: i Santi riconosciuti ufficialmente, sono solo una piccolissima parte.
Voglio porre all’attenzione di tutti coloro che mi leggono la storia di Domenichino Zamberletti riportando qualche passo di quanto scrissi sul mio libro: La testimonianza va testimoniata.
Questo bambino morì di leucemia all’età di tredici anni in “odore di santità”.
Nacque il 24/08/1936 in un piccolo borgo di montagna, frazione della provincia di Varese, chiamato Santa Maria del Monte. In questo luogo si erge un importante ed antico Santuario.
I genitori di Domenichino erano i gestori di un noto albergo, all’epoca, ubicato in prossimità del Santuario. La vita, in un piccolo borgo, a quei tempi veniva vissuta in modo semplice e senza tanti “fronzoli”. Nonostante l’impegno dettato dall’attività, papà e mamma, educarono il figlio con sani principi morali e cristiani.
Il bambino, in tenera età, evidenziava una sensibilità ed un altruismo non comuni.
Di carattere socievole ed estroverso era sempre pronto al sorriso e prodigo verso gli altri.
Dotato di vivacità spigliata attirava a se, con il suo modo di porsi, i coetanei.
Era facile trovarlo tra i tavoli del ristorante a confabulare con gli ospiti oppure in cucina dove aiutava gli inservienti nel loro lavoro.
Il suo pensiero, sempre rivolto ai bisognosi, lo portava ad essere pretenzioso con gli addetti ai fornelli affinché preparassero dei piatti in più per qualche povero che senz’altro sarebbe venuto a bussare alla porta.  Amava la musica. Suonava “ad orecchio”.
Le dita delle sue piccole mani pigiavano con forza i tasti del pianoforte presente nell’albergo.
La madre, dopo averlo ascoltato attentamente, decise di farlo seguire per qualche tempo da un maestro per sviluppare il suo naturale talento.
Anche nel vicino Santuario si sentiva la presenza di Domenichino.
Si sedeva all’organo e suonava.
Ascoltava quello che il suo cuore suggeriva e lo trasformava in musica.
Creava melodia che accompagnavano le liturgie. Aveva solo nove anni quando lo scelsero per essere l’organista ufficiale del Santuario.
Amava inoltre servire la Santa Messa e lo faceva con la veste del chierichetto.
In questa attività ci metteva tutta la passione e lo slancio.
Fu per merito della sua spiccata personalità che gli riconobbero il titolo di responsabile dei chierichetti del Santuario di Santa Maria del Monte.
Non dimentichiamoci che stiamo sempre parlando di un bambino!
Ma quello che colpisce è, come questo bambino, si era preparato con attenzione meticolosa al sacramento della prima comunione.
Colpiva la sua capacità di rimanere assorto in preghiera dopo aver ricevuto Gesù Eucaristia
Chi lo ha conosciuto ricorda la presenza quotidiana alla Santa Messa.
Nel gennaio del 1949 i primi sintomi della malattia si fecero sentire.
Accusò diversi malesseri e stati febbrili.
Si sottopose a diversi esami per qualificare quella malattia incurabile all’epoca.
Affrontò la sofferenza nella fiducia totale in Dio.
Soffrì moltissimo ma non si lamentò mai!
Il Paradiso era il suo punto di arrivo e ne era perfettamente conscio.
Nei colloqui avuti con la mamma e riportati sui testi leggiamo di un Santo.
Diverse frasi di questi colloqui sono state a noi riportate.
Una mi colpì particolarmente e recita: quando avrete bisogno di grazie chiedetele a me …………..ma chiamatemi.

(Tratto dal libro: “La testimonianza va testimoniata” di Antonello De Giorgio).

 

Per saperne di più:

Domenico nacque il 24 agosto 1936, ultimo di tre fratelli – fra cui il noto politico democristiano, onorevole e più volte ministro Giuseppe Zamberletti (nato nel 1933), riconosciuto come il padre fondatore della moderna Protezione civile italiana − all’ombra del Santuario dell’Assunta al Sacro Monte di Varese, riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Unesco insieme ad altri sette sacri monti del Piemonte e uno della Lombardia. I suoi genitori, proprietari e gestori dell’Albergo Camponovo presso il Sacro Monte, trasmisero ai figli sentimenti umani e cristiani, che il piccolo Domenico recepì già in tenera età, quando desiderò che la cucina dell’albergo preparasse quotidianamente un piatto in più per il “Cristo affamato”, cioè qualche povero che inevitabilmente si presentava all’albergo bisognoso di cibo. Pur essendo il “padroncino”, aiutava personalmente i dipendenti e gli inservienti e li trattava come fratelli, ma − soprattutto − la preghiera lo attraeva moltissimo.

Domenichino amava la musica e, ancora piccolo, iniziò a suonare esercitandosi sul pianoforte dell’albergo, improvvisando delicate melodie, cosicché a nove anni divenne organista ufficiale del Santuario. Seguendo il consiglio del padre, prese a suonare senza spartito durante la consacrazione eucaristica, lasciando spazio al cuore di suonare ciò che sentiva. Si racconta, a questo proposito, che una volta una signora, commossa dalla melodia inedita, ne chiese lo spartito al piccolo organista. Ma questi rispose: «Mah… non ce l’ho! La musica mi è sgorgata dal cuore, ma io non ricordo nemmeno una nota».

Altra sua grande passione era servire messa come chierichetto e, data la sua personalità e le sue doti, divenne capo dei chierichetti del Santuario del Sacro Monte. A questo proposito, si racconta un episodio divertente: i ragazzi residenti presso il Sacro Monte, guidati da Domenichino, erano orgogliosi di prestare il proprio servizio ogni volta che giungeva un pellegrinaggio. Tuttavia un giorno, giunti in sacrestia, la trovarono già affollata di chierichetti di un grande pellegrinaggio cittadino. Domenichino tentò di ribadire il fatto che era compito dei chierichetti del Sacro Monte servire messa, ma il gruppo dei cittadini non voleva ascoltare ragioni in proposito. Domenichino, dunque, cercò di conquistarsi la loro simpatia invitandoli a visitare la cella campanaria. Mentre i chierichetti “concorrenti” erano intenti ad ammirare il congegno, Domenichino sgattaiolò fuori dalla cella campanaria, tirandosi dietro la porta e dando un giro di chiave. I chierichetti del Sacro Monte poterono così servire messa indisturbati.

Durante le funzioni liturgiche, Domenichino appariva interiormente assorto e chi gli stava vicino ben presto poté capire che l’Eucaristia era il centro della sua vita. Infatti, si preparò con grande fervore e intensità alla Prima Comunione. Di lui sorprendeva particolarmente il tempo che dedicava al ringraziamento dopo la comunione.

Terminata la quinta elementare, Domenichino si iscrisse a Varese come esterno nel collegio dei Salesiani per frequentare – dall’ottobre 1947 − la scuola media. Espresse anche il desiderio di diventare sacerdote, se quella fosse stata la volontà di Dio. Era ammirato, stimato e rispettato dai compagni, nonché noto per la sua simpatia e per l’ottimo andamento scolastico. Spesso, durante l’intervallo, si assentava dal cortile, solo o con qualche amico, per recarsi in cappella a far visita a Gesù. In questa cappella, diventò spiritualmente “amico” dei “grandi personaggi” della tradizione salesiana, pregando davanti alle loro immagini: la Madonna Ausiliatrice, san Giovanni Bosco (1815-1888) e san Domenico Savio (1842-1857). Rispettava e pregava per i superiori e, spesso,  tornando da scuola, ancor prima di recarsi a casa andava ad inginocchiarsi davanti alla sua Madonna del Monte, pregando per le loro intenzioni. Gli stessi superiori testimoniarono che il fanciullo era costantemente alla ricerca della volontà di Dio e la sua unica e vera preoccupazione era quella di piacere realmente a Gesù. Intelligente, sveglio, curioso, con la guida del suo confessore, con la preghiera, la mortificazione e il compiere gioiosamente i propri doveri, riuscì a raggiungere mete spirituali elevatissime.

Ai primi di gennaio del 1949, Domenichino ebbe ripetuti malesseri, dolori alle ossa e febbre alta che lo costrinsero più volte a lasciare la scuola per sottoporsi a esami e cure mediche. Lui stesso raccontò: «Ero in Chiesa; il Rosario era terminato e si era già alla Benedizione, quando sentii come un brivido attraversarmi le ossa; mi sentii spossato, mi si annebbiò la vista e fui costretto a sedermi. Pian piano il malessere passò e poi tranquillamente potei recarmi a casa, dove raccontai il fatto alla mamma. Ella mi provò la febbre e la trovò altissima. Volle chiamare il medico, che mi mandò per i raggi con quelle relative cure che non accennano mai a finire». Si succedettero visite, esami, tentativi di cura e consulti medici − nel dicembre 1949 fu portato alla Columbus di Milano, clinica ritenuta all’avanguardia −,ma nessuno riuscì a diagnosticare esattamente la malattia, finché non si giunse a un tragico verdetto: si trattava di una forma molto rara di leucemia, di fatto ancora inguaribile a quell’epoca. Domenichino offrì le sue grandi sofferenze per il Papa, il clero, i malati, i fanciulli poveri e gli educatori. Ma la sua sofferenza ebbe anche tratti mistici: infatti, come dettaglia Michele Aramini (cfr. Domenichino Zamberletti, Elledici – Velar, Leumann [Torino] – Gorle [Bergamo] 2009), nel periodo della malattia, il venerdì il fanciullo soffriva in maniera particolarmente intensa. Particolarmente carico di sofferenze fu il Venerdì Santo del 1950, l’ultimo della vita di Domenichino, sino a giungere alle tre del pomeriggio, quando il respiro e il battito del cuore diventarono pressoché impercettibili e il ragazzo rimase quasi come morto sino alla mattina di Pasqua. Quando si risvegliò, rifiutò però il parallelo tra se stesso e Gesù, fatto dal padre, dicendo: «Gesù ha sofferto immensamente più di me». Il suo spirito fu sempre vigile nell’affrontare la sofferenza: i vari biografi gli attribuiscono – sulla scia delle testimonianze in particolare dei genitori – varie espressioni significative: «So che non guarirò, il Paradiso è assicurato»; «Non voglio essere incosciente quando muoio… è Domenico Savio che mi viene incontro»; «Mamma, quando non ci sarò più, va a trovare i bambini che soffrono negli ospedali, va a nome mio. Hanno tanto bisogno di conforto»; «Mi sarebbe piaciuto tanto aver potuto tenere Gesù nelle mie mani, ma si vede che devo essere sacerdote in Paradiso»; «Mamma ho chiesto alla Mamma Celeste di venirti a consolare», e coì via.

Verso la fine di maggio del 1950 – in cui ricorreva peraltro l’Anno Santo indetto da Pio XII (Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, nel 1876 e Papa dal 1939 al 1958) − la malattia di Domenichino, che pure aveva lasciato talora qualche barlume di speranza, peggiorò decisamente. A mezzogiorno del 29 maggio cominciò la crisi decisiva e dovette essere aiutato a respirare con l’ossigeno, fra enormi dolori. Verso le sedici, sfinito ma pur sempre presente e lucido, nell’attimo in cui subentrò un momentaneo stato di benessere fisico, rivolto alla mamma Domenichino disse le sue ultime parole terrene:  «Oh, mamma, come sto bene adesso. Stai qui vicina; vado in Paradiso». Preso poi tra le mani il viso della mamma e guardandola teneramente, baciandola, spirò all’età di tredici anni e nove mesi con un grido gioioso: «Mamma mi viene incontro la Madonna!».

La sua tomba si trova presso il piccolo cimitero di Santa Maria del Monte ed è, negli anni, visitata da tanti fedeli. In particolare, i bambini sono soliti portare un piccolo gioco da lasciare a Domenichino (automobiline, pupazzetti….), così che la sua tomba oggi ne risulta colma.

Il fanciullo del Sacro Monte  è considerato il “patrono” dei chierichetti, infatti vari articoli su di lui sono comparsi su la Fiaccolina, organo ufficiale del Movimento Chierichetti dell’Arcidiocesi di Milano; a lui è stato intitolato il coro dei Pueri Cantores di Macerata ed altre iniziative in vari luoghi d’Italia sono state portate avanti in sua memoria. Nel 2010 è stato sceneggiato inoltre il testo teatrale Transite ad me…, sulla sua sulla figura, scritto da Angela Demattè, per la regia di Andrea Chiodi. Negli anni gli sono inoltre state dedicate diverse monografie e articoli.

Per la sua grande statura spirituale − che di fatto contrasta con i pochissimi anni della sua vita terrena − la figura di Domenichino non deve né può essere relegata a una devozione prettamente locale − sorte che pare segnare questi ultimi anni −, né  tanto meno merita di cadere nell’oblio. Al contrario, meriterebbe di essere meglio valorizzata e resa nota.

In effetti, sussiste un piccolo giallo a proposito del processo canonico di beatificazione del giovanissimo servo di Dio (unico “titolo” che al momento è riconosciuto a Domenichino, essendosi appunto bloccato il processo di beatificazione), che si ritiene essere stato svelato da don Angelo Corno, arciprete del Sacro Monte, in occasione della presentazione della ristampa della biografia Domenichino Zamberletti, un chierichetto di Dio al Sacro Monte di Varese di Maricilla Piovanelli (Macchione, Varese; pubblicato in prima edizione, cui ne sono seguite varie altre, oltre a diverse ristampe, già nel 1950:Domenichino, Istituto Propaganda Libraria, Monza), avvenuta presso il Museo Baroffio sabato 29 novembre 2008. In quella occasione, l’arciprete ha affermato: «Non c’è una verità ufficiale ma, esaminando gli avvenimenti, mi sono fatto un’idea. A bloccare la causa fu il cardinale di Milano, Giovanni Colombo [1902-1992]. I genitori del Domenichino si erano rivolti a lui pregandolo d’intervenire. Si erano pentiti di aver autorizzato un sacerdote siciliano a portare via gli effetti personali del figliolo, in cambio dell’impegno a promuovere il processo di beatificazione. Temevano che il sacerdote li privasse d’ogni reliquia e il cardinale si decise a scrivere la lettera che fermò la causa. […] Da quando sono arrivato al Sacro Monte – spiega don Angelo – ho ricevuto molte lettere che parlano di grazie ricevute per intercessione del Domenichino. In Curia a Milano ci sono ancora i due fascicoli con notizie di fatti inspiegabili e “miracolosi” che giustificarono a suo tempo l’apertura del fascicolo. Per questi motivi ho deciso di ristampare il libro sul piccolo organista-chierichetto».

Lo stesso don Angelo, nell’ottobre 2012, ha dichiarato a un quotidiano locale: «La devozione popolare è molto forte, da qui la mia idea di riaprire il processo di beatificazione […] Ad Acireale, c’è infatti un villaggio del fanciullo dedicato proprio a Domenichino» e, ancora: «Le lettere di grazia ricevuta provengono principalmente dalla Sicilia a parlano di fatti inspiegabili e miracolosi, tra cui guarigioni da malformazioni e risoluzioni di complicate questioni di famiglia» (Varese vuole il bimbo beato. Ma per la Sicilia è già “santo”, inLa Provincia di Varese, 18 ottobre 2012; cfr. anche – sul medesimo quotidiano − Domenichino «dei miracoli». Varese vuole il bimbo beato, 17 ottobre 2012 e «Domenichino mi ha salvato e poi è rimasto sempre con me», 20 ottobre 2012).

Ci auguriamo pertanto che Domenichino possa giustamente essere meglio valorizzato e riscoperto quale esempio di fede e di virtù, soprattutto a favore dei fanciulli e dei giovani del nostro tempo.

Andrea Menegotto

                                                                     Varese vuole il bimbo beato
                                                                     Ma per la Sicilia è già «santo» 

VARESE «Le lettere di grazia ricevuta provengono principalmente dalla Sicilia a parlano di fatti inspiegabili e miracolosi, tra cui guarigioni da malformazioni e risoluzioni di complicate questioni di famiglia».
Lo svela don Angelo Corno, l’arciprete del Sacro Monte che sta collezionando testimonianze di miracoli per riaprire la causa di beatificazione di Domenichino Zamberletti. Bambino che morì in odor di santità il 29 maggio 1950, all’età di 13 anni. La causa di beatificazione partì subito, ma furono i genitori a chiedere al cardinale di Milano Giovanni Colombo di fermare l’iter temendo di dover rinunciare a ogni cosa appartenuta al figlio e anche al suo corpo, che avrebbe potuto essere riesumato per diventare reliquia.
«La devozione popolare è molto forte, da qui la mia idea di riaprire il processo di beatificazione – continua don Corno – Ad Acireale, c’è infatti un villaggio del fanciullo dedicato proprio a Domenichino». Inoltre, sulla sua tomba al cimitero del Sacro Monte, vengono portati sempre nuovi fiori e giocattoli.
Tra gli aspetti più singolari della vita del bambino c’è la malattia di cui morì. Una rara forma di leucemia che si acuiva ogni venerdì. «Come se nella sua sofferenza ci fosse un legame con la passione del Signore – scrive Michele Aramini, autore di un opuscolo dedicato a Domenichino – Carico di sofferenze fu il venerdì santo del 1950, l’ultimo della sua vita. Le sue sofferenze furono così forti quel giorno da indurre il papà a sperare che morisse. Alle tre del pomeriggio il respiro e il battito del cuore diventò impercettibile e il ragazzo rimase quasi come morto fino alla mattina di Pasqua, quando riprese conoscenza negando il parallelo tra la sua passione e quella di Cristo».
Nella raccolta di testimonianze compare anche Giuseppe Zamberletti, il papà della moderna protezione civile. Giovinetto, convalescente di appendicite, Giuseppe scherzava con il fratello minore Domenichino. I due commentavano il Giro di Italia e Domenichino rideva nonostante l’affanno della malattia che da lì a poco lo porterà a ricevere l’estrema unzione.
Nella vita del bambino ha un ruolo anche la statua del Mosé. Un giorno il piccolo, che da grande voleva fare il sacerdote, per avere certezza della propria vocazione mise tre bigliettini nella fontana del Mosè. Su uno c’era scritto «sacerdozio», sull’altro «missionario», sul terzo «camilliano». I tre biglietti scomparvero, un presagio della morte prematura che lo aspettava.

Articolo di S. Bartolini da “La Provincia di Varese”.