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Ed essi erano venuti verso Betlemme e la stella era riapparsa ai loro occhi, lasciata la Città santa, e la sera avanti aveva aumentato gli splendori – il cielo era tutto un incendio – e poi si era fermata, adunando tutta la luce delle altre stelle nel suo raggio, sopra questa casa. Ed essi avevano compreso esser lì il Nato divino. Ed ora lo adoravano, offrendo i loro poveri doni e più che altro offrendo il loro cuore, che mai avrebbe cessato di benedire Iddio della grazia concessa e di amare il suo Nato, di cui vedevano la santa Umanità. Dopo sarebbero tornati a riferire al re Erode, perché egli desiderava adorarlo esso pure.

«Ecco intanto l’oro come a re si conviene possedere, ecco l’incenso come a Dio si conviene, ed ecco, o Madre, ecco la mirra, poiché il tuo Nato è Uomo oltre che Dio, e della carne e della vita umana conoscerà l’amarezza e la legge inevitabile del morire. Il nostro amore vorrebbe non dirle, queste parole, e pensarlo eterno anche con la carne come eterno è lo Spirito suo. Ma, o Donna, se le nostre carte, e più le nostre anime, non errano, Egli è, il Figlio tuo, il Salvatore, il Cristo di Dio, e perciò dovrà, per salvare la terra, levare su Sé il male della terra, di cui uno dei castighi è la morte. Questa resina è per quell’ora. Perché le carni, che son sante, non conoscano putredine di corruzione e conservino integrità sino alla loro risurrezione. E per questo nostro dono Egli di noi si ricordi, e salvi i suoi servi dando loro il suo Regno». Per intanto, per esserne santificati, Ella, la Madre, dia il suo Pargolo «al nostro amore. Che baciando i suoi piedi scenda in noi benedizione celeste».

Maria, che ha superato lo sgomento suscitato dalle parole del Sapiente e ha celato la tristezza della funebre evocazione sotto un sorriso, offre il Bambino. Lo pone sulle braccia del più vecchio, che lo bacia e ne è accarezzato, poi lo passa agli altri due.

Gesù sorride e scherza colle catenelle e le frange dei tre, e guarda curiosamente lo scrigno aperto pieno di una cosa gialla che luccica, e ride vedendo che il sole fa un arcobaleno battendo sul brillante del coperchio della mirra.

Poi i tre rendono a Maria il Bambino e si alzano. Si alza anche Maria. Si inchinano a vicenda, dopo che il più giovane ha dato un ordine al servo, che esce. I tre parlano ancora un poco. Non sanno decidersi a staccarsi da quella casa. Lacrime di emozione sono negli occhi. Infine si dirigono all’uscita, accompagnati da Maria e Giuseppe.

Il Bambino ha voluto scendere e dare la manina al più vecchio dei tre, e cammina così, tenuto per mano da Maria e dal Savio, che si curvano per tenerlo per mano. Gesù ha il passetto ancora incerto dell’infante e ride picchiando i piedini sulla striscia che il sole fa sul pavimento.

Giunti alla soglia – non si deve dimenticare che la stanza era lunga quanto la casa – i tre si accomiatano inginocchiandosi ancora una volta e baciando i piedini di Gesù. Maria, curva sul Piccino, gli prende la manina e la guida, facendole fare un gesto di benedizione sul capo di ogni singolo Mago. È già un segno di croce tracciato dalle ditine di Gesù, guidate da Maria. (Che è il “Tau”. Lettera dell’alfabeto greco a forma di croce, il “tau” è il segno dei salvati indicato in: Ezechiele 9, 4-6. )

Poi i tre scendono la scala. La carovana è già li pronta che attende. Le borchie dei cavalli splendono al sole del tramonto. La gente si è affollata sulla piazzetta a vedere l’insolito spettacolo.

Gesù ride battendo le manine. La Mamma lo ha sollevato e appoggiato al largo parapetto che limita il pianerottolo e lo tiene con un braccio contro il suo petto perché non caschi. Giuseppe è sceso con i tre e regge ad ognuno la staffa mentre salgono sui cavalli e sul cammello.

Ora servi e padroni sono tutti a cavallo. L’ordine di marcia viene dato. I tre si curvano fin sul collo della cavalcatura in un ultimo saluto. Giuseppe si inchina, Maria pure e torna a guidare la manina di Gesù in un gesto di addio e di benedizione.

 ( M. Valtorta – Il poema dell’uomo Dio)