La Croce Quotidiano ha pubblicato un articolo sulla testimonianza del nostro amico Antonello De Giorgio: ve lo proponiamo.
Da “LaCroceQuotidiano.it” servizio di Roberto Lauri:
Tutto ebbe inizio da una telefonata, cosi la ricorda Antonello De Giorgio, nel nostro colloquio: “Ricordo bene quel giorno! Era uno giorno come tanti altri, ero nel mio ufficio, dove il ritmo del tempo che passa è scandito dal suono dei telefoni, dal vociare dei colleghi e dal ticchettio delle tastiere dei computer. Pochi fecero caso al trillo del mio telefonino. È strano il nostro rapporto con il cellulare. La risposta alla chiamata non è immediata, perché cerchiamo sempre di capire, attraverso il numero che appare sul visore, chi sarà il nostro interlocutore. Quel giorno non riconobbi il numero, ma al mio pronto, non ebbi dubbi. Era la voce professionale del medico, che sentenziava: “Le abbiamo diagnosticato un tumore maligno!” Una telefonata del genere, dura, distaccata, fredda e professionale veniva percepita dalle mie orecchie come una sentenza di morte“. Tutto ebbe inizio da quella telefonata, una telefonata che gli ha cambiato la vita. Antonello De Giorgio ha 56 anni e vive a Varese, dove lavora in un istituto bancario, giocatore di pallacanestro, per hobby fa anche l’allenatore di una squadra di basket. Ha raccontato la sua storia in un libro autobiografico, uscito alcuni anni fa, che ha riscosso un discreto successo: “Non sono ancora una foto sopra una lapide!” Un titolo che potrebbe sembrare macabro, ma che in realtà, è un autoinvito a vivere una vita intensa, fatta anche di testimonianza. Una diagnosi, la sua, che avrebbe sconvolto qualsiasi persona, che portava angoscia, che lasciava un vuoto, ma Antonello aveva ed ha una carica in più, aveva ed ha la Fede; questo lo ha salvato. Racconta nel suo libro: “Oggi ho capito, a distanza di qualche anno e di innumerevoli esperienze vissute, che le cose, dovevano andare in quel modo. Eppure quel giorno non mi scomposi, non mi spaventai. Se quell’infausto medico pensava di spaventarmi non c’era riuscito perché nel mio intimo, nel posto più recondito della mia Anima, emergeva con forza quello che sapevo di avere, ma non pensavo fosse così forte: la Fede. Quando ero piccolo, molto piccolo, i miei genitori decisero per me il battesimo e con esso il grande dono della fede. Da quel momento iniziai un percorso in salita. Spesso sudato e faticoso, ma che mi ha portato ad essere la persona che sono oggi, un uomo di Fede. La notizia della malattia mi fece sorridere. Non mi sentivo ammalato seppur, nell’istante stesso della comunicazione, persi quello che pensavo di avere e di controllare: l’immortalità. Avevo un pensiero fisso, più forte degli altri pensieri con i quali generalmente convivo e questo pensiero era: “Antonello probabilmente devi prepararti nel modo meno indegno possibile!”. Presi anche una decisione ferma: la mia vita non sarebbe cambiata perché sono genitore e marito. Le mie figlie e mia moglie avrebbero continuato a vedermi vivo. Venni operato e mi sottoposi a quattro mesi di chemioterapia ed ad un mese di radioterapia. Avevo varcato la soglia. La soglia che divide il nostro mondo “Normale” da un reparto di oncologia. Scoprii un mondo che non conoscevo. In quel reparto, negli occhi degli ammalati, osservai la sofferenza contrapposta alla speranza. Per me, cristiano, voleva dire incontrare Gesù Cristo. È proprio da quell’incontro con la sofferenza condivisa, che iniziai, durante il periodo della chemioterapia, la stesura di un libro che raccontasse la mia storia.” Antonello stava sperimentando la sofferenza, stava combattendo la sua battaglia, la sua dura battaglia, ma non aveva perso la Fede, anzi questa le dava il coraggio e la speranza di andare avanti. Sappiamo che è facile proclamare la propria Fede, quando tutto va per il meglio, quando la vita “Ci sorride”, quando percorriamo una strada in discesa. La nostra fede si misura, invece, nei momenti bui delle difficoltà, nelle malattie, nelle grandi e piccole vicissitudini della vita. Dimentichiamo spesso che la nostra Fede nasce dalla Croce, dal martirio, dalla sofferenza, che la nostra stessa Salvezza viene dalla Croce! Ci sono momenti nella vita, in cui sembra che ci sia crollato tutto addosso e noi ci ritroviamo seduti su di un enorme cumulo di macerie. Ci sentiamo soli. Ci sentiamo disperati, senza poter vedere nessuna via di uscita e sopratutto, perché quella disgrazia sia successa proprio a noi, perché Dio lo abbia permesso. Questa è la notte oscura dell’Anima. Questo è il momento in cui il demonio lavora intensamente contro di noi. In questi momenti, si può perdere la Fede, ma la si può anche rafforzare, farla divenire una Fede adulta se si reagisce e prende forza nella preghiera. Antonello ha reagito, con la preghiera e con l’aiuto di Dio, ha trasformato la sua malattia, in un’occasione per testimoniare l’Amore del Padre e la sua Misericordia. La diagnosi della sua malattia fu lo stimolo che lo convinse a dare un messaggio positivo e di speranza a chi la speranza la sta perdendo: l’ammalato oncologico. Iniziò a raccontare la sua storia di malattia e di Fede a tutti coloro che volevano ascoltarla. Iniziò a testimoniare nelle parrocchie, nei gruppi di famiglie, nei grandi incontri di preghiera, nel corso di concerti, nei centri culturali, nelle Pro Loco, nei centri anziani e dovunque lo invitavano, per ascoltare la sua storia. Della sua vicenda si interessarono alcuni giornali, ebbe spazio anche sulla televisione, in RAI e in TV2000. Insomma, ogni occasione sfruttata al massimo per parlare di Fede, di Dio e di speranza. Il filo conduttore di ogni incontro è la teoria delle 3F. Una teoria da lui stesso sperimentata, in quanto ha accompagnato la cura della malattia: la F di Fede, la F di Famiglia e la F di Follia. Durante le sue testimonianze, entra nel merito di ognuna di loro, in particolare, della F più impegnativa, quella della Fede. Negli incontri porta, anche la sua esperienza di pellegrino di Medjugorje, luogo a lui caro, fin dai primi anni delle apparizioni. Nel colloquio che ho avuto con Antonello mi ha raccontato: “ A Medjugorje ci sono andato dal 1987 al 1991. Dopo è scoppiata la guerra e non ci sono tornato per 19 anni. È un luogo in cui non si arriva per caso, ma perché si è chiamati. Chiamati, in fondo, lo siamo tutti, solo che il rumore del mondo non permette di sentirlo. Ogni giorno, anche prima della malattia, chiedevo la grazia di poterci tornare, era come una preghiera quotidiana. Ho calcolato quasi settemila suppliche poi, finalmente ci sono tornato dopo la malattia. La prima volta che sono andato a Medjugorje ero scettico, ci andai con un atteggiamento di sfida, di strafottenza. Ricordo che quando un amico mi chiese, se avessi qualcosa da far benedire e se volessi portarlo ai piedi della statua della Vergine, proposi di inserire, in una busta, la schedina del totocalcio, “Non si sa mai!” pensai. Le cose dovevano andare così, come poi sono andate. Mi sono preso dalla Madonna, un sonoro schiaffone, che mi ha lasciato impresso sul viso, le sue cinque dita. Durante le mie testimonianze, raccomando sempre di andare a Medjugorje scettici! Non c’è nulla di più bello che tornare da quel posto, benedetto da Dio, con le cinque dita di Maria stampate sul volto.” Durante il nostro colloquio, gli ho chiesto se si sentiva un miracolato, mi ha risposto: “Non mi sento di parlare di miracolo. Ho risposto bene alle cure. Un miracolo non è essenzialmente un prodigio unico, ma si verifica in ogni istante della mia vita. Se uno ha una Fede profonda, quando arriva la croce, ha il coraggio di portarla e di guardarla negli occhi, se uno crede non ha poi questa grande paura. Sicuramente il Signore non è stato a guardare. Anche la famiglia ha avuto nella mia storia, un ruolo importante. Quando comunicai ai miei familiari la brutta notizia cercai di scrutare le loro reazioni, ognuno di loro ebbe una reazione diversa. Le mie figlie, Irene e Chiara, con la loro vitalità, mi spronarono a lottare contro la malattia. Mia moglie Paola, invece, fece la cosa più semplice: si mise a pregare. Pregò con la forza dell’amore. Creò gruppi di preghiera con gli amici, contattò anche quelli che non vedevo da molto tempo. Tutti in preghiera per me. La mia famiglia, mi ha aiutato a portare la croce, per un bel pezzo di strada. Oggi sono un cristiano esigente con me stesso. Vivo una Fede in totale affidamento a Dio. Ho vissuto di persona la Croce e l’ho portata con dignità. San Paolo diceva: ho combattuto la dura battaglia ed ho conservato la Fede”.
La ferrea volontà di Antonello di portare speranza a chi non ne ha, lo ha condotto a scrivere un secondo libro, che ha un titolo emblematico “La testimonianza va testimoniata”. Nel nostro colloquio, mi parla di questa sua seconda fatica:” Con il Dr. Giancarlo Comeri, che nel 1984, ha partecipato alla prima équipe medica italiana, per la valutazione dei veggenti di Medjugorje, ho iniziato un percorso di collaborazione, imperniato sulla testimonianza, fin dal mio primo libro. Ecco perché ho chiesto, nuovamente, al Dr. Comeri di scrivere una prefazione, che solo Lui poteva intitolare: A Medjugorje a cercare Dio per poi essere incontrati da Lui”. In questo mio secondo libro ho raccolto l’esperienza di 5 anni di testimonianze. Quale miglior occasione per raccontare, attraverso sette nuovi aneddoti, la presenza di Dio nella mia vita? Quale momento migliore per parlare di un piccolo paese disperso della ex Jugoslavia che frequento dal 1987? La testimonianza è simile ad un rubinetto che perde. Possiamo stringere con forza la manopola ma quella goccia fastidiosa, la testimonianza, continua ad uscire. A Medjugorje ho trovato la mia vocazione. Non una vocazione sacerdotale ma laica. Ho trasformato una parola che fa paura: cancro, in un’altra che bisogna avere il coraggio di pronunciare, per questo porto la mia testimonianza. Quando si incontrano gli occhi di un ammalato dobbiamo ricambiare il suo sguardo con occhi d’amore e non di tristezza o di compassione. A lui possiamo regalare un sorriso. Ho iniziato a testimoniare per dare un messaggio positivo e di speranza a chi la speranza, forse, la sta perdendo. La testimonianza è un messaggio. Va trasmesso con insistenza, con forza, con convinzione, con veemenza e tanta fatica pur sapendo, a priori, che tanti chiuderanno ermeticamente le porte del cuore, per non voler ascoltare. È attraverso la testimonianza, che la Chiesa cammina, come dice Papa Francesco. Ecco il perché di un nuovo libro, perché la testimonianza… va testimoniata! I proventi del libro saranno dati in beneficienza, ai Missionari Cappuccini di Milano, per il Centro di Formazione Femminile “Saintes Marthe et Marie”. Un progetto che ha come obbiettivo quello di istruire le ragazze più bisognose, attraverso corsi di alfabetizzazione, di formazione umana, ma anche formazione spirituale. Un progetto, in Costa d’Avorio, che possa offrir loro, anche la consapevolezza dell’importanza del valore della donna.”
Testimonianza, è stata la parola che ha risuonato moltissime volte, nel colloquio con Antonello, ma è una parola importante per lui, è divenuta la sua ragione di vivere la Fede. Chi è interessato ad una copia del libro, oppure, vuole organizzare una testimonianza pubblica, può contattare Antonello al suo indirizzo e-mail: degiorgio. antonello@gmail.com
Il messaggio del 25 Ottobre 2015 alla veggente Marija:
“Cari figli! La mia preghiera anche oggi è per tutti voi, soprattutto per tutti coloro che sono diventati duri di cuore alla mia chiamata. Vivete in giorni di grazia e non siete coscienti dei doni che Dio vi da attraverso la mia presenza. Figlioli, decidetevi anche oggi per la santità e prendete l’esempio dei santi di questi tempi e vedrete che la santità è realtà per tutti voi. Figlioli, gioite nell’amore perché agli occhi di Dio siete irripetibili e insostituibili perché siete la gioia di Dio in questo mondo. Testimoniate la pace, la preghiera e l’amore. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”
Solo alcuni spunti di riflessione:
La Vergine si mette in preghiera per noi e ci invita alla conversione, a rispondere alla Sua chiamata, per poter cambiare il nostro cuore duro. Anticipa la festa di Ognissanti, chiedendoci di intraprendere la via della santità, ci dice:“Prendete l’esempio dei santi di questi tempi … “ Un incoraggiamento a trasformare la nostra semplice vita in una vita di santità: “ … vedrete che la santità è realtà per tutti voi.” Del resto i Santi coniugi Martin erano semplici sposi, che vissero cristianamente il loro matrimonio: ogni loro pensiero ed ogni loro azione erano sempre posti, per loro stessa volontà, sotto lo sguardo di Dio. Un messaggio breve ma molto intenso, Maria ci conforta enormemente quando afferma che : “Agli occhi di Dio siete irripetibili e insostituibili perché siete la gioia di Dio in questo mondo”. Una vera grande consolazione sentirsi “Irripetibili e insostituibili”
Nota del Giornale: pubblicando i messaggi non si vuole dare nessuna forma di autenticazione agli stessi o agli eventi di Medjugorje in generale. Ogni decisione in merito, spetta solo alla Chiesa a cui ci si rimette in piena obbedienza.