Raccolte da Giancarlo Comeri.
Nell’anno giubilare della Misericordia il Sacramento della confessione è da riscoprire. Riprenderò, a partire da oggi, alcune considerazioni molto attuali da un’intervista di Alessandra Stoppa a un giovane Cappuccino, frà Emiliano Antenucci, uno dei mille Missionari della Misericordia, voluti da Papa Francesco per il Giubileo.
1) LA CONFESSIONE: LUOGO DI GRAZIA
Per prima cosa va tenuto presente che confessarsi non è fare la black list- dice frà Emiliano. Non è neppure uno scontrino per potersi accostare all’Eucarestia. Ma è un cammino di conversione. Io preferisco chiamarla riconciliazione: ancor più che penitenza o confessione, è il nome che richiama il carattere fondamentale di questo Sacramento, che non consiste solo nell’accusa dei peccati, ma nell’aumento della Grazia. La confessione è il luogo dove si riceve la Grazia. Il Papa dice, infatti, che già solo il fatto di andare a confessarsi è una grazia. Si chiama: grazia del riconoscimento.
(Da TRACCE di Aprile 2016)
2) SEMPRE A PROPOSITO DELLA CONFESSIONE
«La vergogna stessa è una grazia», dice Francesco.
Com’è vero! Il velo della vergogna si trasforma in lacrime di pentimento e di gioia. Dobbiamo riconoscere di essere peccatori, per conoscere la misericordia. Ma questo non vuol dire che Gesù si sia incarnato per il peccato: Gesù si è incarnato perché ci vuole bene. È molto importante. Credo che con una certa catechesi del peccato abbiamo mortificato tanta gente, abbiamo creato una sorta di “ascetica della tristezza”. Invece, in principio era la gioia, la luce, la Grazia. Non il peccato e le tenebre.
(frà Emiliano Antenucci, in TRACCE aprile 2016)
3) IL PERDONO DELLA CONFESSIONE CI CHIEDE UNA RISPOSTA LIBERA
«Il luogo privilegiato dell’incontro con Cristo è la carezza della Sua misericordia verso il mio peccato» ha detto Francesco in una sua Udienza lo scorso anno. Questo è vero ma ci chiede una risposta libera. Pensiamo a quello che disse Léon Bloy, scrittore francese: «Una santa può cadere nel fango e una prostituta può salire alla luce». Questa è l’esperienza che facciamo tutti noi, davanti al dono della misericordia. La parabola del Figliol prodigo non ha un happy end, perché è lasciata a noi la scelta: continuare un cammino di santità o di tenebre. È una questione di libertà.
Non si sa come finisce la storia, non si sa dove va il figlio maggiore o cosa fa il figlio minore. Tocca a noi il finale. «E l’angelo partì da Lei»: come è stato per la Vergine Maria dopo l’Annuncio. Il Signore ci dà la Grazia, i doni, ci fa vedere il bene e il male: «Io ti ho posto sul Monte», poi scegli tu.
E questo ci permette anche di ricordare che la confessione non è una seduta di psicoanalisi: il sacerdote ti dà la Grazia di Dio, lo psicanalista no.
(frà Emiliano Antenucci in TRACCE dell’aprile u.s.)
4) SULLA CONFESSIONE: IL PECCATO E’ TRADIRE L’AMATO
Per vivere la Confessione con coscienza sono di grande aiuto i tre passaggi che formulò il cardinale Carlo Maria Martini: la confessio laudis, la confessio vitae, la confessio fidei.
Innanzitutto, la confessio laudis: prima di confessarmi, devo ringraziare il Signore per tutti i doni che ho ricevuto. Di avere la vita, la vocazione scelta, la casa – tanti non ce l’hanno -, la salute, lo studio o il lavoro, gli amici… Di tutto. Tutto è dono. Quindi: avere questo cuore grato. Del resto, il peccato fondamentale è proprio essere «smemorati». Essere smemorati dell’amore di Dio. Il peccato non è trasgredire una legge, ma tradire l’Amato e l’amore che mi vuole bene.
Poi, c’è la confessio vitae. L’atto di confessare ad un sacerdote – che è un uomo come me, peccatore e fragile come me – tutte le mie contraddizioni, la mia miseria: miseria mia, misericordia Tua, diceva sant’Agostino. Quello che mi colpisce è che spesso noi confessiamo peccati già confessati. Non intendo quelli in cui ricadiamo sempre, ma quelli commessi e già perdonati, che però ritiriamo fuori. Questo è perché non ci perdoniamo noi. Il dramma è interiore. Ma soprattutto non abbiamo creduto al perdono di Dio. Ma questo perdono non è un sentimento! Per Dio perdonare è dimenticare: tu per lui quella cosa non l’hai mai fatta. Ma, per noi, questa misericordia è uno scandalo.
La confessio fidei riguarda proprio questo: essere certo per fede che la misericordia di Dio è più grande della mia miseria. Io non so se domani sorgerà il sole, ma so che la misericordia sorgerà prima del sole. Il punto è crescere in questa certezza: Dio ci copre con il suo manto infinito di misericordia, più grande di tutte le nostre miserie, che Lui ha gettato nel fondo dell’oceano.
(Da un’intervista di Alessandra Stoppa a frà Emiliano Antenucci, Missionario della Misericordia. Tracce Aprile 2016)
5) SULLA CONFESSIONE: PRIORITARIO E’ SENTIRSI ACCOLTI
La prima cosa che ci aspettiamo nella confessione è l’essere accolti. Il Papa stesso ritiene che l’accoglienza sia una priorità: «Siate accoglienti. Dite all’altro: tu sei amato da Dio. E se non potete dare l’assoluzione, date una benedizione». Molte persone si allontanano dalla Chiesa per mancanza d’accoglienza. Allora, anche per me, la prima cosa è mettermi in ascolto. E rispetto all’altro, aiutarlo non è “dargli qualcosa”, non è dare le cose.
Ricordo un insegnamento stupendo di don Oreste Benzi: «Il povero non è chi non ha niente, ma è chi non è niente». Per questo siamo tutti poveri.
La cosa più vera è comunicare all’altro: «Tu sei importante per Dio, tu sei importante per me. Tu vali il sangue di Gesù. Sei un’opera d’arte, preziosa agli occhi di Dio». La prima virtù di un confessore non è guardare i peccati, ma gli occhi del peccatore. Lo scrive anche san Francesco in una lettera ai fedeli: «Non pretendere che gli altri siano cristiani migliori». E, poi, in una lettera a un ministro dice: «Anche se un frate pecca mille volte, tu mille volte riaccoglilo».
(Da un’interista di Alessandra Stoppa a frà Emiliano Antenucci, Missionario della Misericordia. Tracce Aprile 2016)
6) SULLA CONFESSIONE: DIO E’ PAZZO DI NOI
Il Papa dice che il mistero della misericordia di Gesù è che lui «va oltre la legge e perdona accarezzando le ferite del peccato, come un confessore».
Gesù non giudica con la legge, perché la legge più grande è l’amore. Invece noi ci portiamo sempre addosso la paura di Dio, che Dio ci condanni, ci castighi. E questa è una responsabilità anche di come “comunichiamo” Dio nella Chiesa. Dio non sta a guardare le nostre pazzie di peccato: Dio è pazzo di noi. Si è incarnato a prescindere dai nostri peccati,ci ama a prescindere da quello che noi facciamo. Perché ci ama come figli. Poi, questo diventa anche un metodo di catechesi. Parlare del cristianesimo come mortificazione, come diminuzione di vita… Il contrario! È un aumento di vita. Tuttavia la misericordia non è buonismo. Il confessore deve aiutare la persona a rendersi conto dell’Incontro che sta vivendo. Non è una conversazione tra amici: l’altro non sta incontrando un sacerdote ma Gesù. E quando incontri Gesù hai timore e tremore, e insieme sei riempito di stupore e meraviglia, come un bambino. Dallo stupore nasce un nuovo modo di vivere. Allora, il confessore non deve curiosare, come ci ha ricordato il Papa, ma nemmeno essere muto: deve donare parole che siano medicamenta. Che siano consolazione e speranza.
(Da un’intervista di Alessandra Stoppa a frà Emiliano Antenucci, Missionario della Misericordia. Tracce Aprile 2016)